I pensieri che non ci aiutano e che ci generano ansia
L’ansia può essere uno stato d’animo estremamente fastidioso oltre che invalidante quando la sua intensità è tale da compromettere la qualità di vita di una persona, condizionando le sue giornate in maniera pesante. Esistono alcune strategie che è possibile applicare per cercare di gestire l’ansia in modo efficace e ridurla.
Queste strategie devono essere applicate con impegno e in modo sistematico, perché modificare il proprio stile di pensiero e i comportamenti quando sono condizionati dall’ansia non è semplice.
Le strategie che possono risultare efficaci per ridurre l’ansia e quindi lo stress che deriva sono:
- conoscere la natura dell’ansia
- imparare a modificare i pensieri disfunzionali che favoriscono il mantenimento dell’ansia e adottare uno stile di pensiero più realistico
- potenziare le proprie capacità di problem solving
- imparare a ridurre il tempo speso a preoccuparsi
- smettere di evitare le situazioni che creano ansia.
Nel loro insieme, queste strategie sono utili per gestire l’ansia, tuttavia può essere utile apprenderle singolarmente per assimilarle meglio e per esercitarsi nell’applicarle.
Conoscere e comprendere i pensieri che generano ansia
Il nostro modo di pensare ha un impatto significativo sui livelli di ansia che viviamo. Molti stili di pensiero agiscono al di fuori del nostro controllo volontario e sono spesso poco funzionali al nostro benessere. Tuttavia occorre tenere a mente che si tratta di pensieri, non di fatti con un fondamento di realtà.
Anche quando diamo pieno credito a questi pensieri poco funzionali e siamo in uno stato di ansia, potrebbe essere molto utile fermarsi e chiedersi se effettivamente si basino su presupposti corretti e reali.
Può essere anche utile porsi alcune domande che aiutino a identificare gli stili di pensiero irrealistici e disfunzionali. Una volta identificati sarà più semplice tentare di modificarli attivamente. Nel tempo, questo esercizio dovrebbe diventare un’abitudine che aiuti a vedere le cose e la realtà in modo più obbiettivo e meno condizionato dalla nostra ansia.
Possono esserci molti esempi di pensieri disfunzionali, ed eccone qualcuno relativo ad diversi ambiti di vita:
Sentirsi giudicati negativamente dagli altri:
- Pensano che io non serva a nulla
- Non gli piaccio abbastanza
Sentirsi incapaci di affrontare una determinata situazione:
- Mi renderò ridicolo
- Sono troppo ansioso per riuscire a gestire questa situazione
- Mi verrà un attacco di panico
Temere che qualcosa di tremendo stia per accadere:
- E se avessi un incidente?
- E se perdessi il mio lavoro?
È necessario tuttavia familiarizzare con i pensieri disfunzionali che adottiamo più frequentemente per iniziare ad arginarne gli effetti dannosi sul nostro equilibrio emotivo.
Per prima cosa, bisogna allenarsi a riconoscere i pensieri disfunzionali, quei pensieri che non ci aiutano a mantenere un buon equilibrio emotivo ma che inducono stati di ansia. Solo dopo è possibile affrontarli e modificarli. Ci sono pensieri disfunzionali comuni e ricorrenti, presenti in molti di noi, che possono essere riassunti in specifiche tipologie.
Predire il futuro
Quando ci sentiamo ansiosi accade spesso di pensare al futuro in termini negativi e di immaginare cosa potrebbe accadere di brutto. I pensieri passano da una preoccupazione all’altra, per ciascuna la mente anticipa uno scenario catastrofico e non riesce ad andare oltre. All’esame di realtà, la maggior parte degli eventi catastrofici immaginati non si verificano, ma molto del nostro tempo e delle nostre energie sono andate perse in queste preoccupazioni.
Esempi di anticipazioni catastrofiche degli eventi futuro possono essere:
- credere che un colloquio di lavoro si rivelerà un disastro
- passare molto del tempo che precede un esame a pensare che andrà male nonostante l’impegno nello studi
Lettura del pensiero
Questo stile di pensiero induce a deduzioni inesatte su ciò che gli altri credono o pensano, senza che vi sia alcuna reale evidenza che supporti queste convinzioni.
Per esempio:
- il mio capo pensa che io sia uno stupido
- le persone mi odiano
- i miei amici non mi stimano.
Anche in questo caso è evidente che questo tipo di pensiero, oltre a portare a conclusioni non necessariamente veritiere, mette a dura prova l’umore inducendo uno stato di ansia pervasivo.
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Castastrofizzazione
Le persone ansiose tendono a catastrofizzare le situazioni che si trovano a vivere. È per loro spontaneo pensare che un evento potenzialmente negativo porti con sé conseguenze nefaste, ben superiori alla situazione effettiva che si sta presentando.
L’anticipazione catastrofica ingigantisce le conseguenze di una determinata situazione negativa oltre la ragionevolezza. Questo stesso meccanismo si attiva a volte anche in concomitanza di eventi di per sé positivi, che non vengono apprezzati per il loro valore ma subito ignorati perché temporanei e sicuramente non duraturi. In entrambi i casi lo stato d’ansia diventa pervasivo impedendo di affrontare con lucidità entrambe i tipi di eventi.
Alcuni esempi di questo specifico stile di pensiero sono:
- a seguito di un evento, pensare immediatamente che le conseguenze di quanto accaduto siano ben peggiori di quanto probabile: per esempio, ho disdetto un appuntamento con un’amica e sicuramente non mi chiederà mai più di uscire con lei
- immaginare che di fronte a una situazione complessa non sarà possibile trovare le energie e la forza di affrontarla.
Focalizzazione sul negativo
Le persone ansiose hanno la tendenza a focalizzarsi prevalentemente sugli aspetti negativi delle situazioni che vivono, senza valutare gli aspetti positivi che possono essere presenti. Una visione esclusiva degli aspetti negativi – detta anche visione a tunnel - oltre a non essere realistica, impedisce di fare leva sugli aspetti positivi che potrebbero essere leve utili di rinforzo all’azione quando le cose diventano più complesse.
Un esempio può essere il focalizzarsi unicamente su un collega di lavoro che non ci apprezza, ignorando il fatto che molti altri colleghi apprezzano il nostro contributo al lavoro svolto.
Doverizzazione
La doverizzazione è una forma di pretesa irrealistica che vincola il proprio benessere al verificarsi delle condizioni ideali o ottimali che abbiamo in mente.
Le persone spesso immaginano che le cose debbano essere necessariamente come loro si aspettano. Affermazioni come “deve per forza andare bene…” oppure “bisogna che io riesca a …” rispecchiano l’aspettativa a volte irrealistica che le cose vadano esattamente come ci si aspetta, senza la minima tolleranza verso eventuali deviazioni rispetto a quanto desiderato. Infatti, le cose non devono andare per forza in una certa direzione, anche se sarebbe preferibile che accadesse.
Alcuni esempi di questo tipo di pensiero sono:
- devo per forza prendere 30 all’esame
- non devo mai provare ansia.
Quando applichiamo questo tipo di pensiero che vincola il nostro benessere a criteri molto rigidi in termini di aspettativa, creiamo su noi stessi una forte pressione che genera ansia. A volte potrebbe essere più funzionale e realistico pensare che le cose non necessariamente vanno come desideriamo. Si tratta quindi di sostituire il “deve essere” con l’opzione più concreta “sarebbe meglio se fosse”.
Affermazioni che iniziano con: “E se accadesse che…”
Si tratta di espressioni che usiamo per anticipare nuovamente un evento negativo. Di fronte a una situazione neutra, ci chiediamo subito cosa potrebbe accadere se si verificasse un imprevisto o ancor peggio un problema che difficilmente riusciremo a gestire.
- e se andando ala festa mi capita di avere un attacco di panico?
- e se non riuscissi a farmi dei nuovi amici all’università?
Questi sono esempi di situazioni in cui, di fronte a un evento potenzialmente divertente o interessante, si perde la motivazione a viverlo per timore che si verifichi un evento spiacevole. Nel tempo, questo atteggiamento porta a una progressiva diminuzione dell’interesse e dell’effettivo coinvolgimento in attività che aiuterebbero a superare paure e timori.
Etichettamento
Si tratta di un modo molto approssimativo di definire sé stessi in modo univoco e irrevocabile. Sono affermazioni come:
- sono una persona debole
- sono sempre ansioso
- non sono capace di fare nulla di buono
Queste affermazioni possono nascere in parte dalla consapevolezza di non avere le caratteristiche desiderate, ma allo stesso tempo precludono la possibilità di migliorare o di considerare quelle che invece abbiamo e su cui potremmo fare leva.
Oltre a sminuire l’immagine di sé, il processo di etichettamento porta all’accettazione passiva di una condizione rispetto alla quale si ritiene di non potere fare nulla. In questo modo si perde però di vista ciò che invece c’è e su cui si potrebbe lavorare con impegno per migliorare.