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Quando in Amore Scegliamo Chi Non Ci Sceglie: l’Inganno dell’Amore Non Corrisposto

Quando in Amore Scegliamo Chi Non Ci Sceglie: l’Inganno dell’Amore Non Corrisposto

“Ti risponde, ma non ti cerca. Ti vuole, ma non si impegna. Ti tiene lì, ma non ti sceglie davvero.”

Ti è mai capitato di sentirti così? Di vivere una relazione dove l'altro c'è… ma a metà? Una presenza fatta più di silenzi che di parole, più di assenze che di abbracci. Eppure, non riesci ad andartene. Anzi, resti. Aspetti. Speri. Ti aggrappi a ogni messaggio, a ogni segnale ambiguo, a ogni momento in cui sembra che anche lui – o lei – ci sia davvero. Perché ci ostiniamo a inseguire chi non ci sceglie?
Perché investiamo tempo, emozione e presenza in chi non è disposto a fare lo stesso per noi?

Questa non è solo una storia d’amore non corrisposto. È uno schema. Uno di quelli che fanno male, ma che spesso si ripetono. E proprio perché si ripetono, ci parlano di qualcosa di più profondo.

 

Indice dei contenuti 

1. Introduzione: Storie che non iniziano mai davvero 

2. Il meccanismo interno: perché ci leghiamo a chi è emotivamente assente

3. Le radici psicologiche

4. Lo schema ripetitivo

5. Cosa succede dentro – emozioni, pensieri, vissuti

6. Uscire dallo schema

7. Conclusione ispirazionale

 

1. Introduzione: Storie che non iniziano mai davvero 

 

Ci sono legami che sembrano amore, ma non lo sono. Hanno la forma dell’intimità, i gesti della complicità, a volte persino le parole giuste. Ma manca qualcosa di essenziale: la scelta reciproca, la disponibilità autentica, la presenza piena. In queste relazioni restiamo spesso sospesi, intrappolati in una danza in cui l’altro fa un passo avanti e due indietro, lasciandoci nel dubbio, nel bisogno, nella speranza che prima o poi decida di esserci davvero.

Ti risponde, ma non ti cerca. Ti vuole, ma non si impegna. Ti tiene nella sua orbita, ma non ti accoglie mai davvero nel suo mondo. E tu, intanto, resti. Ti chiedi cosa non vada in te, cosa potresti fare per meritarti più attenzione, più amore, più spazio. Ti convinci che con un po’ di pazienza, se sarai abbastanza comprensiva, presente, luminosa, allora forse cambierà. Allora forse ti sceglierà.

Quello che accade, però, va ben oltre la storia del momento. Spesso si ripete, in forme simili, con persone diverse. È come se ci fosse un copione silenzioso, un filo invisibile che ci spinge sempre verso chi non può – o non vuole – esserci del tutto. E più l’altro ci sfugge, più noi rincorriamo. Più si ritrae, più investiamo.

Perché ci leghiamo a chi è emotivamente assente?
Cosa ci spinge a restare dove non ci sentiamo visti, accolti, scelti?

Questo articolo nasce per esplorare proprio questo: il meccanismo che ci porta a inseguire chi non ci sceglie. Un percorso dentro i bisogni affettivi, le radici psicologiche, gli schemi ripetitivi che ci legano a relazioni sbilanciate. Ma anche un invito a riconoscere il nostro valore, a riscrivere il copione, a imparare – finalmente – a scegliere chi ci sceglie.

 

 

  

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2. Il meccanismo interno: perché ci leghiamo a chi è emotivamente assente

 

Quando ci ritroviamo invischiati in relazioni in cui l’altro è emotivamente distante, spesso ci chiediamo cosa ci tenga legati. Non è semplice attrazione, né solo affetto: è un meccanismo interiore complesso, che risponde a bisogni profondi e inconsapevoli. In questa sezione esploreremo tre dinamiche psicologiche che alimentano questo legame sbilanciato: il bisogno di conferma, l’illusione di poter cambiare l’altro e la confusione tra desiderio e disponibilità affettiva.

 

2.1 Il bisogno di conferma come motore del legame

 

In molte relazioni sbilanciate, ciò che ci tiene agganciati non è solo l’amore per l’altro, ma il bisogno profondo di sentirci riconosciuti. Quando l’altro è emotivamente distante o ambiguo, si attiva dentro di noi una sorta di sfida inconscia: ottenere da lui – o da lei – quella conferma che sentiamo di non avere mai avuto del tutto.
Il suo sguardo, la sua attenzione, il suo affetto diventano la misura del nostro valore. Più ci sentiamo ignorati, più rincorriamo. Più ci sentiamo respinti, più cerchiamo di meritarci l’amore. È un meccanismo che nasce spesso in contesti relazionali precoci dove l’amore era condizionato, intermittente o incerto.
Così, nella relazione attuale, non cerchiamo solo una persona: cerchiamo una prova. La prova che siamo amabili, che valiamo, che possiamo essere scelti.

 

2.2 L’illusione di poter cambiare l’altro

 

Un altro meccanismo che ci tiene dentro relazioni disfunzionali è la convinzione, spesso silenziosa ma radicata, che l’altro cambierà grazie a noi. Ci raccontiamo che con il tempo, con la nostra pazienza, con il nostro amore, riusciremo a farlo aprire, a farlo fidare, a renderlo capace di amare.
È un’illusione pericolosa, perché ci spinge a restare dove non siamo accolti, trasformando la relazione in una missione. E in questa missione perdiamo di vista noi stessi.
In realtà, dietro questa dinamica si cela un bisogno ancora più profondo: la speranza di riscattare vecchie ferite, di riparare mancanze passate, di essere finalmente “scelti” da qualcuno che inizialmente non ci voleva davvero. Ma l’amore sano non è un premio da conquistare, né una battaglia da vincere. È uno spazio di reciprocità, non una crociata affettiva.

 

2.3 La confusione tra desiderio e disponibilità affettiva

 

Spesso scambiamo il desiderio per amore, l’intensità per profondità, la passione per presenza emotiva. Sentiamo un’attrazione potente verso chi ci sfugge, e questo desiderio ci sembra la prova che stiamo vivendo qualcosa di importante. Ma desiderare qualcuno non significa che quella persona sia in grado di amarci nel modo in cui abbiamo bisogno.
La disponibilità affettiva è un’altra cosa: esserci davvero, è mettersi in gioco, è voler costruire. Ma quando siamo immersi in dinamiche di rincorsa, rischiamo di confondere ciò che proviamo con ciò che ci serve.
E così restiamo agganciati a persone che non ci scelgono, convinti che la forza del nostro sentimento basti a rendere la relazione significativa.
In realtà, la vera domanda non è: “Quanto lo desidero?”, ma: “Quanto mi sento al sicuro, visto, scelto in questa relazione?”

 

 

  

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3. Le radici psicologiche

 

Per comprendere davvero perché ci leghiamo a chi è emotivamente assente, è necessario fare un passo indietro. Dietro le scelte affettive che facciamo oggi si nascondono spesso esperienze relazionali passate, modelli interiorizzati fin dall’infanzia, schemi di attaccamento che continuano a influenzarci anche da adulti. Le relazioni che rincorriamo non nascono nel presente, ma affondano le radici in territori più antichi, più profondi, e a volte più dolorosi di quanto immaginiamo.

 

3.1 Gli stili di attaccamento insicuro (ansioso, evitante)

 

Uno dei fattori che influenzano profondamente il modo in cui viviamo le relazioni affettive è lo stile di attaccamento, ovvero il modello di legame che si sviluppa nelle prime relazioni significative, solitamente con i genitori o figure di accudimento.
Chi ha uno stile di attaccamento ansioso, da adulto tende a temere l’abbandono, ha un bisogno costante di rassicurazione e spesso si lega intensamente a partner sfuggenti proprio perché ogni minima attenzione diventa un sollievo temporaneo all’ansia del non sentirsi amato.
Al contrario, lo stile evitante porta a temere l’intimità: in questi casi si desidera una relazione, ma si teme di perdere il controllo o la libertà, e si reagisce con distacco emotivo.
Molto spesso, chi ha uno stile ansioso finisce per legarsi a chi ha uno stile evitante, creando una danza dolorosa tra chi insegue e chi fugge. È una dinamica che rafforza il bisogno, ma non lo soddisfa mai.

 

3.2 I modelli relazionali interiorizzati nell’infanzia

 

Ognuno di noi cresce con una sorta di mappa interiore dell’amore: un insieme di convinzioni su cosa significhi essere amati, desiderati, accettati. Queste convinzioni si formano nei primi anni di vita, attraverso le esperienze con le figure di riferimento.
Se da bambini abbiamo percepito che l’amore doveva essere conquistato, o che era legato al nostro comportamento, possiamo aver interiorizzato l’idea che per essere amati dobbiamo lottare, adattarci, meritare.
Così, anche da adulti, rischiamo di essere attratti da persone che ci fanno rivivere quella stessa sensazione di insicurezza, perché in fondo ci è familiare. Inconsciamente, proviamo a “riscrivere” la storia, sperando che questa volta vada diversamente. Ma finiamo, invece, per ripetere.

 

3.3 Quando l’amore viene associato all’attesa, al rincorrere, alla mancanza

 

Ci sono persone che non si sentono vive se non stanno aspettando qualcuno. Che associano l’amore alla fatica, alla conquista, al desiderio mai pienamente appagato. Non perché amino soffrire, ma perché quella è l’unica forma di amore che conoscono.
Se nella nostra storia emotiva l’amore è stato spesso legato alla mancanza – un genitore distratto, assente, instabile – potremmo inconsapevolmente cercare relazioni in cui si ripete quel tipo di dinamica.
L’attesa, la speranza, il rincorrere diventano il cuore della relazione, più della relazione stessa. E quando finalmente incontriamo qualcuno che è disponibile, che ci sceglie davvero… potremmo trovarlo noioso, poco stimolante.
Non perché manchi qualcosa in lui, ma perché non riconosciamo quell’amore come autentico. Non ci attiva i pattern emotivi a cui siamo abituati. In altre parole, ci sentiamo attratti da ciò che ci fa male perché lo confondiamo con ciò che ci è familiare.

 

 

  

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4. Lo schema ripetitivo

 

Quando ci troviamo più volte in relazioni in cui rincorriamo qualcuno che non ci sceglie davvero, non si tratta di sfortuna o coincidenza. È la traccia di uno schema relazionale che si ripete, spesso senza che ce ne rendiamo conto. Uno schema è come un copione interiore: ci guida nella scelta delle persone, nel modo in cui ci comportiamo, in quello che tolleriamo e in ciò che ci aspettiamo. Riconoscere questo schema è il primo passo per liberarsene.

 

4.1 Come funziona lo “schema dell’inseguimento”

 

Lo “schema dell’inseguimento” si attiva quando una parte di noi è convinta che l’amore vada guadagnato, rincorso, trattenuto. In queste relazioni, siamo spesso noi a fare il primo passo, a cercare, a insistere. Più l’altro si ritrae, più ci sentiamo spinti a colmare la distanza, a dimostrare il nostro valore, a meritarci una risposta.
Questo schema ci intrappola in una dinamica di sbilanciamento emotivo: uno dà troppo, l’altro troppo poco. Ma il problema non è solo la relazione in sé: è la convinzione profonda che se riusciremo a farci scegliere, allora saremo finalmente degni d’amore. È un copione antico, che ci illude di poter trovare la salvezza emotiva attraverso l’approvazione dell’altro.

 

4.2 La polarizzazione vittima-salvatore

 

All’interno di questo schema, spesso si attivano ruoli rigidi e dolorosi. Chi rincorre assume inconsapevolmente il ruolo della “vittima”, bisognosa d’amore, comprensione, attenzione. L’altro, più distante o sfuggente, viene percepito come il “salvatore”: colui che, se solo cambiasse, potrebbe guarire il dolore.
Ma questi ruoli sono instabili e illusori. La vittima rischia di diventare dipendente emotivamente, di annullarsi pur di essere amata. Il salvatore, invece, può diventare un simbolo irraggiungibile, che alimenta l’idea di un amore mai pienamente accessibile.
È una dinamica che rafforza la dipendenza e impedisce il confronto autentico tra due persone libere e pari.

 

4.3 Il rinforzo intermittenza/silenzio che crea dipendenza affettiva

 

Uno degli elementi più subdoli di questo schema è il rinforzo intermittente: l’alternanza tra presenza e assenza, tra vicinanza e silenzio, tra calore e freddezza.
Questa altalena emotiva ha un effetto molto potente sul nostro sistema nervoso: ci destabilizza, ci confonde, ma al tempo stesso ci tiene agganciati. Ogni messaggio dopo un lungo silenzio, ogni gesto improvviso di affetto dopo giorni di freddezza, diventa un picco emotivo che rafforza la dipendenza.
È lo stesso principio alla base di molte dipendenze: la ricompensa non arriva sempre, ma arriva abbastanza da farci restare. Così, continuiamo a sperare, ad aspettare, a giustificare. E intanto ci perdiamo.

 

  

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5. Cosa succede dentro – emozioni, pensieri, vissuti

 

Quando rincorriamo qualcuno che non ci sceglie, non soffriamo solo per quello che accade all’esterno. La vera ferita si consuma dentro: nel nostro dialogo interiore, nel modo in cui ci percepiamo, nelle emozioni che ci abitano ogni volta che restiamo in attesa, che ci sentiamo ignorati, che vediamo l’altro sfuggirci ancora una volta.
Spesso non riusciamo nemmeno a spiegare agli altri – o a noi stessi – perché continuiamo a restare. Ma dentro di noi, qualcosa si muove in profondità. Qualcosa che parla di inadeguatezza, di paura, di vuoto.

 

5.1 Il senso di inadeguatezza

 

Uno dei vissuti più frequenti è la sensazione di non essere abbastanza. Non abbastanza belli, interessanti, intelligenti, amabili. Ogni silenzio dell’altro sembra confermare questa percezione: “Se non mi cerca, se non mi vuole, allora c’è qualcosa che non va in me.”
Questo senso di inadeguatezza si insinua piano piano e logora la nostra autostima. Cominciamo a chiederci cosa potremmo cambiare di noi per piacere di più, per essere scelti. E in questa continua tensione verso l’adeguamento, perdiamo il contatto con chi siamo davvero.
La nostra identità si modella sull’altro, sulle sue reazioni, sulle sue assenze. Ma l’amore vero non nasce mai dall’autosvalutazione.

 

5.2 L’ansia da abbandono

 

Ogni distanza, ogni messaggio non letto, ogni cambio di tono può scatenare un’ondata di ansia. È l’ansia da abbandono, quella sensazione improvvisa e travolgente che qualcosa stia per finire, che l’altro ci stia lasciando, che stiamo per essere “tagliati fuori” emotivamente.
Questa ansia non nasce dal presente, ma si attiva su ferite passate: esperienze in cui ci siamo sentiti soli, trascurati, non visti.
L’intensità con cui viviamo ogni piccolo segnale di distacco non è razionale, ma corporea, viscerale. E spesso ci porta a comportamenti compulsivi: controllare il telefono, scrivere, cercare conferme, implorare attenzioni. Non perché siamo fragili, ma perché ci sentiamo in pericolo.
Eppure, paradossalmente, ogni volta che l’altro si riavvicina, il sollievo è solo momentaneo. L’ansia ritorna presto, perché il legame non è mai veramente sicuro.

 

5.3 La paura del rifiuto che blocca la libertà di scelta

 

Quando siamo dentro una relazione sbilanciata, spesso perdiamo di vista un punto fondamentale: anche noi possiamo scegliere. Anche noi possiamo decidere se restare o andare. Ma la paura del rifiuto diventa così ingombrante da paralizzarci.
È come se il timore di essere lasciati fosse più forte del desiderio di essere felici. Restiamo legati non perché stiamo bene, ma perché temiamo che andarcene significhi confermare la nostra non amabilità.
Questa paura blocca la libertà di scelta. Ci tiene in relazioni che non ci nutrono, ci fa accontentare di briciole, ci impedisce di chiedere di più – o di cercarlo altrove.
E così, giorno dopo giorno, restiamo. Non perché l’altro ci scelga, ma perché non riusciamo a scegliere noi stessi.

 

 

  

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6. Uscire dallo schema

 

Interrompere un legame che ci fa soffrire non è semplice, soprattutto quando quello schema ci è familiare, quando ci abbiamo investito speranze, tempo e sogni. Uscire dallo schema non significa semplicemente “lasciare andare” una persona: è un processo più profondo, che coinvolge il riconoscimento dei propri bisogni, la riscrittura dei propri copioni relazionali e, soprattutto, la scelta consapevole di rimettersi al centro.
Non è un gesto impulsivo, ma un percorso graduale. Un cammino che inizia quando iniziamo a guardarci con più compassione, a volerci abbastanza bene da non accontentarci più di chi ci sceglie a metà.

 

6.1 Riconoscere il copione

 

Il primo passo è la consapevolezza. Iniziare a vedere il proprio schema, osservarlo senza giudizio. Chiedersi: Perché mi sento attratto da chi non è disponibile? Quali emozioni mi tiene legato? Questa storia somiglia ad altre che ho già vissuto?
Riconoscere il copione non vuol dire uscirne subito, ma smettere di viverlo in automatico. Significa accorgersi di ciò che si ripete, dare un nome ai propri meccanismi interiori, rompere il silenzio dentro di sé.
Solo quando vediamo chiaramente lo schema possiamo iniziare a immaginare alternative. La consapevolezza è già un atto di libertà.

 

6.2 Allenare l’autostima affettiva: scegliere chi ci sceglie

 

Molti di noi sono bravissimi a dare amore, ma molto meno a riceverlo. Soprattutto quando siamo abituati a lottare per ogni briciola di attenzione. Allenare l’autostima affettiva significa proprio questo: imparare a sentirsi degni di un amore semplice, presente, ricambiato.
Non è un atto narcisistico, ma una cura. Una riparazione.
Significa imparare a riconoscere le relazioni in cui ci sentiamo visti, rispettati, valorizzati. E, soprattutto, scegliere di restare solo dove c’è reciprocità.
Scegliere chi ci sceglie vuol dire uscire dalla logica della rincorsa e abitare una nuova posizione: quella in cui l’amore non è più una lotta, ma uno scambio.

 

6.3 Imparare a tollerare il vuoto senza riempirlo con relazioni sbilanciate

 

Uno degli ostacoli più grandi all’uscita dallo schema è la paura del vuoto. Quel senso di mancanza che ci assale quando ci allontaniamo da una relazione, anche se era dolorosa.
Spesso, quando lasciamo andare chi non ci sceglie, ci sentiamo improvvisamente soli, spogli, disorientati. È lì che rischiamo di tornare indietro, di cercare subito un’altra presenza, anche se non è quella giusta.
Imparare a tollerare il vuoto è un atto rivoluzionario. Significa imparare a restare con se stessi, a dare spazio al dolore, ma anche al silenzio, alla ricostruzione.
Perché non tutto il vuoto è mancanza. A volte è spazio. Spazio nuovo da riempire di scelte più sane, relazioni più vere, amore che non ferisce.

 

 

  

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7. Conclusione ispirazionale

 

Uscire da uno schema relazionale che ci ha tenuti a lungo prigionieri non significa smettere di amare. Significa, piuttosto, imparare a farlo in un modo nuovo. Più autentico, più sano, più libero.
Non è un atto contro l’altro, ma un atto a favore di sé. È una forma di rispetto, di cura, di verità. Significa riconoscere che l’amore non dovrebbe farci sentire piccoli, sospesi, in attesa. Ma visti, accolti, raggiunti.

Ci vuole coraggio per scegliere se stessi. Per interrompere una rincorsa che dura da anni, a volte da una vita. Per dire basta non solo a chi non ci sceglie, ma anche alla parte di noi che ha imparato a mendicare amore invece che riceverlo.
Ma quel coraggio, se ascolti bene, è già dentro di te. È nella stanchezza che senti. Nella lucidità che inizia a farsi strada. Nell’intuizione che ti sussurra che meriti di più.

Amare non è sacrificarsi, non è sperare che qualcuno cambi, non è restare dove ci si sente soli anche in due.
Amare è anche saper dire: “io non resto dove non sono scelto, perché ho imparato a scegliermi.”

Smettere di rincorrere non significa rinunciare all’amore,
ma iniziare a sceglierlo davvero.

E tu, in questo momento della tua vita,
stai scegliendo o stai rincorrendo?

 

 

 

 

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